Con il rilascio gratuito della Legendary Edition per il Prime Day, che potete trovare a questo link, moltissime persone potranno finalmente avvicinarsi a Mass Effect, una saga ormai che è stata un vero e proprio spartiacque nel mondo videoludico, regalando a tutti i giocatori dell’epoca (me compreso) un’ambientazione e storia curatissime e perfettamente cucite su un gameplay avvincente che mixa perfettamente gioco di ruolo e sparatutto.
Per questa occasione, ho deciso di riproporvi i miei primissimi lavori di scienza e videogiochi, usciti nel lontano 2017 su tom’s hardware, proprio riguardo alla scienza di questa incredibile saga.

Energia oscura e massa negativa
È l’anno 2148. L’umanità, nella sua corsa allo spazio, ha ormai colonizzato Marte da decenni. Tuttavia in una zona del pianeta si riportano campi elettromagnetici molto inusuali: dopo anni di ricerche una spedizione scientifica riesce finalmente a scoprire la fonte di queste anomalie. Si tratta delle rovine di un’antica civiltà, i Prothean, nelle quali gli uomini scoprono non solo delle navi spaziali abbandonate e dati scientifici importantissimi, ma anche una sostanza raffinata che cambierà per sempre la storia dell’umanità: l’Elemento Zero.

Secondo il codex di Mass Effect, l’Elemento Zero è una sostanza che, sottoposta a correnti elettriche, sarebbe in grado di fornire o sottrarre massa agli oggetti circostanti attraverso l’uso dell’energia oscura: il cosiddetto “effetto massa” che battezza il gioco. Ma cos’è l’energia oscura? Come si fornisce corrente elettrica a un corpo? È possibile fornire o meno massa a un oggetto?

Cominciamo con l’analizzare il funzionamento dell’Elemento Zero: il gioco ci dice che sottoponendo la sostanza a una corrente elettrica si genera un campo in grado di modificare la massa degli oggetti e, in particolare, che questa massa aumenta se la corrente è positiva e diminuisce se la corrente è negativa.
Una corrente è un movimento di elettroni in un corpo: queste particelle, che si trovano in zone periferiche degli atomi dette Orbitali e che si muovono costantemente attorno al loro nucleo, possono essere messe in moto mediante un Campo Elettrico sufficientemente grande.
Una delle proprietà degli elettroni è avere una carica elettrica, (una grandezza fisica propria dell’oggetto esattamente come la massa) sempre uguale e negativa. Possono essere dunque mossi da campi elettrici negativi per repulsione, o positivi per attrazione. Se ad esempio sottoponiamo un corpo a un campo negativo, i suoi elettroni si disporranno lontano dalla fonte del campo e allo stesso modo, per un campo positivo, si avvicineranno alla sua fonte. Alla luce di questo, è possibile immaginare che l’Elemento Zero funzioni grazie alla distanza tra le sue particelle costituenti, modificata mediante campi elettrici esterni che hanno effetti dilatanti o comprimenti in base al loro essere positivi o negativi.

Sottoposto a tali campi, l’elemento zero genera una variazione di massa negli oggetti circostanti e il gioco ci suggerisce che lo faccia mediante l’energia oscura: ma cos’è questa energia oscura? Nessuno lo sa bene, ed è per questo che è chiamata “oscura”: ma andiamo con ordine.
Negli anni ’90 è stato attestato che i corpi celesti tendono ad allontanarsi con una velocità che cresce con la loro distanza: è la nota Legge di Hubble che ci dice che più essi sono lontani, più si allontanano velocemente. Ad oggi non abbiamo chiarezza di quale sia l’energia che permette questo fenomeno ma visto che lo osserviamo dev’esserci un’energia oscura che porta a questo fenomeno.
Le teorie più in voga vedono come candidato l’Energia del vuoto: il vuoto infatti non sarebbe “veramente vuoto” ma avrebbe un suo contributo di energia repulsiva estremamente piccola (che si osserva ad esempio nell’Effetto Casimir) che però su scala galattica, sommando gli effetti di distanze spaventosamente grandi, fornirebbe effetti repulsivi in grado di vincere l’attrazione gravitazionale.

Purtroppo attualmente i valori previsti per questa energia sono troppo piccoli per spiegare il fenomeno, ma una cosa interessante è che parte di questa energia dovrebbe dipendere dal campo di Higgs, un campo di energia che permea l’universo diventato famoso a causa del Bosone di Higgs (a volte chiamata anche dal grande pubblico Particella di Dio), la particella che esprime la sua eccitazione e che è stata osservata da LHC solo raggiungendo energie estremamente elevate. E indovinate a cosa serve il campo di Higgs? A dare massa alle particelle.
Ecco dunque che il puzzle si ricompone. L’elemento zero, soggetto a un campo esterno, potrebbe modificare la distanza tra i suoi componenti andando ad agire così indirettamente sul vuoto e sul campo di Higgs, fornendo o sottraendo massa alle particelle.
Ma è possibile realmente un simile funzionamento? Ovviamente si tratta di semplici illazioni: le strutture atomiche che noi conosciamo e deformiamo non mostrano simili comportamenti, non conosciamo alcun meccanismo che funzioni in questo modo e dovremmo anche giustificare il fatto che il Campo di Effetto Massa influenzi una certa regione di spazio circostante.

Inoltre la cosa sarebbe assolutamente sconveniente dal punto di vista energetico. La famosa formula della relatività di Einstein, E=mc^2, ci viene in aiuto: a poca massa corrisponde moltissima energia e dunque avremmo bisogno di energie sconvenientemente elevate per ottenere effetti massivi evidenti.
Tuttavia potremmo immaginare che l’elemento zero funzioni come un catalizzatore, un soggetto che non prende parte a una reazione se non abbassando l’energia necessaria per ottenerla. Inutile dire tuttavia che questo rischierebbe di violare una delle più certe leggi del nostro universo, la conservazione di energia, che impedisce (se non per brevissime quantità e periodi su scala subatomica) di creare o distruggere energia e materia dal nulla, ma solo di trasformarle in altre forme di materia o energia.
Mass Relay
L’anno successivo, 2149, l’umanità scopre che Caronte, uno dei più remoti corpi celesti del nostro sistema solare, nasconde in realtà un gigantesco e antichissimo macchinario alieno che permette di viaggiare in tempi brevissimi fino a uno degli altri macchinari simili disseminati nella galassia: questa scoperta cambierà radicalmente la storia dell’umanità, portandola all’incontro con le altre razze senzienti della Via Lattea.

Creati dai Prothean, i Mass Relay sono dei macchinari lunghi decine di chilometri che permettono di viaggiare nel cosmo a velocità maggiori di quella della luce, attraversando distanze immense in pochi attimi: ma come fanno?
Il gioco spiega che, grazie alle proprietà dell’elemento zero, questi macchinari sono in grado di creare, tra coppie di Mass Relay, dei “corridoi nello spazio-tempo” attraverso i quali un’astronave è in grado di muoversi privata della sua massa. Ma come mai annullare la massa di un’astronave dovrebbe permettergli di viaggiare così velocemente nello spazio?
Tutti conoscono la famosa formula della Teoria della Relatività di Einstein: E = mc2. Tuttavia, pochi sanno che questa formula si applica allo studio di oggetti immobili: nella formula per un oggetto in movimento, l’energia necessaria cresce vertiginosamente quando la velocità dell’oggetto si avvicina a quella luce e, per tale valore, diventa infinita.
Appare dunque evidente che, in assenza di energia infinita (che ovviamente è impossibile da raccogliere e contenere), un oggetto con massa non può essere accelerato fino a raggiungere la velocità della luce. Ma se invece si riuscisse a trovare un sistema per rendere privo di massa un oggetto? L’energia si azzererebbe? Conosciamo noi oggi oggetti privi di massa?

Attualmente conosciamo alcune particelle prive di massa: le più famose sono ovviamente i fotoni, le particelle che compongono la luce e in generale tutte le onde elettromagnetiche. Esse viaggiano sempre alla velocità della luce, ma trasportano e richiedono, per essere generati, una certa quantità di energia che dipende dalla loro lunghezza d’onda (che, per la luce visibile, si traduce nel “colore” della luce che osserviamo).
Dunque ridurre a zero la massa di un oggetto permette di farlo viaggiare alla velocità della luce, ma non oltre. Ridurre tuttavia la massa di un oggetto potrebbe comunque semplificare moltissimo il viaggio a velocità estremamente elevate, riducendo drasticamente l’energia necessaria per accelerare una nave.
Questo non risolverebbe comunque un altro problema: i tempi necessari per il viaggio. Una maniera comune di calcolare le distanze interstellari è usare l’anno luce, la distanza percorsa dalla luce in un anno terrestre (pari a circa 10.000 miliardi di chilometri). Il centro della galassia, ad esempio, dista da noi circa 25.000 anni luce e dunque un raggio di luce dalla Terra impiega ben 25.000 anni per raggiungerlo
Viaggiare a velocità vicine a quelle della luce modifica lo scorrere del tempo: un astronauta lanciato a velocità elevatissime potrebbe percorrere una tale distanza percependo un tempo impiegato estremamente più breve e questo perché anche le distanze percepite si accorciano. Tuttavia, dalla Terra, si osserverebbe un’astronave a velocità prossime a quella della luce che viaggia verso il centro della galassia e, dopo oltre 25.000 anni, raggiunge il suo centro: tornando indietro l’astronauta troverebbe una Terra invecchiata di oltre 50.000 anni rispetto a lui.

Questo è un problema ben noto nella fisica relativistica e posto per la prima volta nel famoso “paradosso dei gemelli”: una nave priva di massa in viaggio alla velocità della luce “ridurrebbe” al minimo questo problema, ma non lo eliminerebbe del tutto.
Servirebbe dunque una sorta di “teletrasporto” che permetta non solo di richiedere poco tempo nello spostamento da parte dell’astronauta, ma che questo valga anche per il resto dell’universo. Il teletrasporto noto alla scienza moderna, ovvero il teletrasporto quantistico, mostra numerosi svantaggi: esso infatti è una conseguenza dell’Entanglement quantistico, ovvero una condizione di due particelle generate in coppia che, mantenute prive di perturbazioni esterne, possono di fatto interagire istantaneamente a distanza.

In linea teorica è possibile copiare un oggetto con un enorme gruppo di particelle, comunicando la stessa informazione alle gemelle lontane “clonando” di fatto un corpo a distanza. Tuttavia questa pratica crea un enorme problema: le coppie di particelle sono estremamente difficili da isolare, condizione necessaria per mantenere il loro stato entangled. Inoltre la comunicazione di informazione può avvenire una volta sola, rompendo lo stato entangled.
Le particelle devono essere create nello stesso luogo e successivamente allontanate, riportando il problema ai precedenti metodi di trasporto interstellare. Infine, è stato dimostrato che il corretto trasferimento di informazioni (che sia una comunicazione semplice o una complessa come la struttura degli atomi che formano un oggetto) richiede sempre l’affiancamento di un mezzo di comunicazione “classico” che è costretto a viaggiare alla velocità della luce.

Il problema dei viaggi interstellari resta dunque aperto: la fantascienza propone svariate soluzioni, alcune delle quali vengono effettivamente studiate, come la possibilità di usare wormhole, ovvero dei “buchi” nello spazio-tempo, motori a curvatura per modificare la struttura stessa dello spazio-tempo o la più banale ibernazione dell’equipaggio.
È questa la scelta che prende l’umanità per il lunghissimo viaggio verso la galassia di Andromeda, nel quarto, sfortunato capitolo della saga, aspettando di raggiungere la meta per svegliarsi da un sonno di secoli…
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