Fisica per medievali: Moti e cavalli

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Benvenuti in questa nuova rubrica: spinto anche dalla recente Giostra del Saracino, ho deciso di fare questi articoli di “fisica per medievali” con l’idea di produrre dei contenuti di fisica divulgativa che, pur affrontando classici argomenti della disciplina, anche di utilità scolastica, trasmettessero questi concetti in maniera divertente e ponendo sullo sfondo uno dei periodi storici più affascinanti.
Ma prima facciamoci una domanda…

Cosa sapevano i medievali della fisica?

Gniente 

Lla fisica come la conosciamo noi inizia a svilupparsi nel diciassettesimo secolo con Galileo, che per primo propone un metodo scientifico rigoroso: c’erano già stati dei tentativi in passato, ma non sufficienti a decretare la nascita della scienza moderna.
Questo non significa che i suoi predecessori non avessero una percezione del funzionamento del mondo naturale, anzi: tutta la matematica e la scienza del rinascimentale, ad esempio, poggia sulla riscoperta dei lavori dei Greci, e chi praticava mestieri che mettessero direttamente a contatto con misure di lunghezza, di superficie e di peso (cioè, pressappoco, chiunque) aveva un’idea molto chiara di come queste grandezze funzionassero e quali fenomeni naturali girassero attorno ad esse.

Ciò che mancava era un rigore matematico e un approccio osservativo coerente, soprattutto per quanto concerne il mondo dei corpi: partiremo dunque proprio da qui per la nostra dissertazione…

Moto e quiete 

Le cose, o se movono, o non se movono

È abbastanza naturale accettare questa affermazione, seppure essa non sia universalmente corretta (vedi appendice 1). Chiameremo quiete la condizione di un oggetto nella quale esso non si muove.

Ma che vuol dire muoversi?

Una cosa che se move pria era costí et ora est colà

Il concetto stesso di movimento, per quanto banale, richiede già da solo l’introduzione di due grandezze fisiche: la posizione è il tempo.

A sua volta ciascuna di queste due grandezze richiede delle unità di misura: potremmo indicare una posizione effetto a un punto di riferimento, oppure una lunghezza, in passi, bracci o, per gli sciocchi dei contemporanei, in metri; per lo stesso motivo indicheremo il tempo per giorni, ore, minuti, secondi. 


Ci farebbe infine comodo una definizione, ma siccome si rischia di entrare nell’ambito della metafisica useremo le cosiddette definizioni operative quelle che partono dall’esperienza concreta della misura: lunghezza e posizioni saranno quindi quelle grandezze che si misurano con il metro e il tempo quella che si misura con l’orologio.

La velocità 

Le cose si movon talune piano et altre più veloce, et le cose veloci arrìan pria delle lente

Una volta sbugiardato Parmenide e accettata l’esistenza del moto, l’esperienza ci insegna che, nello stesso tempo, non tutti i corpi percorrono la stessa distanza.

S’io corro appresso a uno destriero et faccio tanti passi in una clessidra, ei ne fa multa più di me.

Dato un certo intervallo di tempo, un corpo in movimento percorrerà una certa distanza.

Chiamiamo velocità il rapporto tra la distanza percorsa e il tempo impiegato (ovvero: distanza diviso tempo).Un cavallo al galoppo che percorra 50 miglia in due ore avrà una velocità di 50 miglia / 2 ore, o, per il magico potere della semplificazione delle frazioni, 25 miglia/ora (circa 40 km/h).

Visto che un corpo in quiete non si muove, possiamo dire serenamente che abbia velocità 0 (vedi comunque appendice 1)

Moto rettilineo uniforme

S’io so quanto veloce è un corpo, et questa sua conditione non cambia, io posso moltiplicar per il tempo per saper dove arriverà, o divider la distanza per la velocità et sapere in quanto arriverà.

Se la velocità di un corpo è costante (cosa che, come vedremo, è rara) posso facilmente metterla in relazione con il tempo necessario per percorrere un certo spazio o la distanza percorsa in un certo tempo.

Essendo Velocità = Posizione / Tempo si ottiene facilmente che, se esse non cambiano, Posizione = Velocità x Tempo oppure Tempo = Posizione / Velocità.

Se ad esempio il mio cavallo galoppa a 40 km/h, io so che, in due ore, compirà 80 km: allo stesso modo so che, se deve percorrere 20km, lo farà in mezz’ora.

L’accelerazione

Le cose ch’erano in quiete posson divenire in moto, et quelle in moto divenire quiete; et le cose ch’andavan piano posson andar veloci, et le cose veloci divenire lente.


Visto che stare fermi, camminare o correre implica tre velocità differenti (di cui la prima è 0, ma vedi appendice 1) è evidente che la velocità non è un fattore costante, ma può anzi variare nel tempo, istante per istante.

Chiameremo accelerazione la variazione della velocità: questo termine, sempre corretto in fisica, si usa di solito nel parlar comune per indicare una situazione in cui la velocità aumenta (ovvero l’accelerazione è “nella stessa direzione” della velocità), mentre si tende a chiamare decelerazione la situazione opposta (ovvero quella in cui l’accelerazione sia “in direzione opposta” della velocità).

L’accelerazione è dunque definita come il rapporto tra la variazione della velocità e il tempo impiegato: se un oggetto, partendo da fermo, raggiunge in 10 secondi la velocità di 100 metri/secondo, ha subito un’accelerazione pari alla variazione di velocità (da 0 a 100 m/s, dunque 100m/s) diviso il tempo impiegato ad effettuare questa variazione (10 s), per un totale di 100/10 = 10.
Difficili però sono le unità di misura di questa grandezza: un metro al secondo, diviso un secondo, fa un metro al secondo quadrato (dove è quadrato solo il secondo, m / (s)2).

Accelerazioni costanti: l’accelerazione di gravità

Le cose cadon sempre con la stessa accelerazione

Questa affermazione, che noi possiamo dare oggi per scontata (e che è solo un’approssimazione, buona nelle applicazioni che accadono sulla superficie terrestre e nei pochi chilometri abitabili sopra e sotto di essa), non lo è stata affatto per secoli, e anzi Galileo si è dovuto ingegnare per dimostrarlo.

L’astronomo toscano ottenne questo risultato tramite un piano inclinato, una specie di scivolo dove far rotolare delle palline che urtavano dei campanellini messi in posizioni specifiche.

Se la pallina aveva percorso, dall’inizio, una certa distanza dopo un secondo, la distanza era quattro volte tanto dopo due secondi e nove volte tanto dopo tre secondi: la distanza era quindi proporzionale al quadrato del tempo, rapporto tipico, come abbiamo visto prima, di un moto accelerato (per capire come fece, vedi appendice 2).

In un moto uniformemente accelerato, supponendo di partire da fermi, la velocità sarà pari all’accelerazione per il tempo trascorso: Velocità = Accelerazione x Tempo.
Prendiamo come esempio proprio la gravità, che ha un’accelerazione pari a circa 10 metri al secondo quadrato (9,81 m/s^2).

Questo signfica che, dopo un secondo, la velocità sarà 10 metri al secondo, dopo due secondi sarà 20 metri al secondo e dopo 10.. sarà 100 metri al secondo!

Ma esattamente, con questa velocità che aumenta continuamente, quanto spazio viene percorso?

Moto uniformemente accelerato

Se lo mio corpo è accelerato, alla distanza che percorrerà per la sua velocità io debbo aggiunger o sottrarre mezza della sua accelerazione, per lo tempo per se stesso.

La formula del moto uniformemente accelerato è notoriamente una delle più complesse, alle superiori, da capire e da utilizzare: per introdurla, vale la pena di utilizzare un metodo geometrico.

Cominciamo con un moto rettilineo uniforme, moto in cui la velocità è costante: com’è fatto un grafico che mette in relazione la velocità col tempo?

Il grafico è molto semplice e indicativo: per qualsiasi istante di tempo, la velocità è sempre la stessa.

Chiediamoci ora: quanto vale l’area della zona blu?

E’ un rettangolo lungo quanto il tempo e alto quanto la velocità: ma noi sappiamo che questo prodotto ci da proprio lo spazio percorso. Spazio = Velocità x Tempo.

Prendiamo questa affermazione per buona (poi, quando avrete voglia, farete gli integrali e vi convincerete che è vera) e chiediamoci: com’è fatto il grafico di un moto uniformemente accelerato, cioè in cui la velocità aumenta costantemente nel tempo?

Ancora una volta, ci chiediamo quanto vale la superficie dell’area colorata: si tratta di un triangolo, dunque la superficie è banalmente “Base x Altezza / 2”, ed è proprio da questa formula che proviene quel “½” tanto odiato dagli studenti.

La base del triangolo è il tempo impiegato, l’altezza è la velocità: ma noi sappiamo che la Velocità = Accelerazione x Tempo.
Se andiamo dunque a usarla come base, otteniamo Spazio = ½ x Velocità x Tempo = ½ x Accelerazione x Tempo x Tempo o, se preferite, ½ x Accelerazione x Tempo al quadrato (solo il tempo, eh!).


Per la formula completa, ovvero quella che prevede anche una possibile velocità iniziale, basta far partire la velocità non da 0, ma da un determinato valore iniziale, per ottenere la somma dei due casi precedenti. Avremo dunque che lo Spazio Percorso = Velocità iniziale x Tempo + ½ x Accelerazione x Tempo al quadrato: a questo valore e a tutti i valori precedenti, possiamo sempre aggiungere una posizione iniziale nel caso in cui lo “0” non sia sul punto di partenza…

APPENDICE 1: Moto rispetto a cosa?

S’io sto sulla via e passa uno a cavallo, per me se move, ma per lui il cavallo est fermo et io me movo.

Il problema del moto relativo è un problema già affrontato da Galileo: il fatto che un oggetto sia fermo o si muova, e quanto, dipende a quale riferimento io prendo.
Se due persone stanno sedute su una nave che viaggia, si percepiranno ferme l’una rispetto all’altra, sebbene per una persona a terra esse saranno indubbiamente considerate in moto.

APPENDICE 2: Accelerazione costante

Per dimostrare la costanza dell’accelerazione, Galileo, posizionò i campanellini alla distanze crescenti di 1, 3, 5, 7 ecc unità di misura, in modo che la loro somma desse i precedenti quadrati noti (1+3=4, 1+3+5=9, 1+3+5+7=16 ecc): in questo modo, sarebbe sostanzialmente suonato un campanellino al secondo.

Visto che la velocità è il rapporto tra lo spazio e il tempo, la velocità dopo ogni campanellino doveva crescere come il rapporto tra gli spazi (cioè la velocità tra il campanellino a distanza 3 e quella a distanza 1 stavano in rapporto di 3:1): tuttavia, le differenze di velocità tra campanellini successivi sarebbero sempre state di 2 (visto che 3-1=5-3=7-5 che fa sempre 2).
Il rapporto tra differenze di velocità e tempi, ovvero l’accelerazione, risulta sempre costante.

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